Generalmente le tematiche di antispecismo, tendono a focalizzarsi sullo sfruttamento animale per fini alimentari o di vestiario, con un allargamento alle questioni riguardanti zoo, circhi e delfinari. Seppur giusto questo focus, rischia però di essere molto parziale, in quanto gran parte delle forme di specismo, e con esso di ingabbiamento animale, sono invisibili e riguardano interazioni con l’animalità che apparentemente lasciano vivi e sani i corpi degli animali, facendo rientrare la mente animale in catene di sfruttamenti, abusi e morti invisibili, invisibili anche a chi contrasta le forme di antispecismo più evidente e che paradossalmente spesso diventa specista nel campo dell’addestramento animale. La questione della liberazione della mente animale è molto complessa da affrontare e spesso foriera di incomprensioni e contrasti ed in questo senso rappresenta un campo di battaglia molto più aspro, perché come opponenti non ti trovi solo quelli che deliberatamente ammettono lo sfruttamento della mente animale, anzi questi sono gli opponenti più facili in quanto più trasparenti ed onesti, ma ti trovi a doverti confrontare con tutta una serie di antropocentricità che passano dal welfarismo al behaviorismo, fino ad arrivare addirittura a tutto l’antispecismo-specista che insorge quando si mette in discussione l’addestramento animale. Fior fior di filosofi antispecisti potrebbero discutere per giorni interi sull’esigenza di una sempre più profonda riflessione antispecista, senza accorgersi che proprio a casa loro, nello stesso momento del loro dibattito filosofico, il partner sta facendo svolgere delle sessioni di clicker training al cane che vive con loro, oppure sta studiando degli esercizi di natural horsemanship per il cavallo che hanno in maneggio, oppure sta insegnando al figlio ad allacciarsi le scarpe attraverso l’applicazione della teoria behaviorista dell’apprendimento. E quindi, in questo processo di consapevolezza antispecista come mai, ad esempio, uno strumento invasivo come il clicker e che dovrebbe essere messo al bando insieme a tutto il behaviorismo, trova poco interesse nella battaglia di liberazione animale? Da una parte perché negli anni passati c’è stata una miscomprensione del concetto di rinforzo positivo collegato a questo strumento, assegnando erroneamente un’accezione morale e non funzionale di rinforzo “positivo”, che significa semplicemente che aggiunge qualcosa e non che è più buono di qualcosa; da un altro punto di vista, in quanto producente una comunicazione istantanea ed efficace, è entrato a pieno titolo nella mitologia della comunicazione efficace, che spesso risulta in una deprivazione efficace della mente animale; in terzo luogo, perché rappresenta un potente strumento di modellamento del comportamento animale e meccanizzazione dei processi mentali, quindi utilissimo nel creare comportamenti e stati mentali animali d’interesse per l’animale umano, perfettamente adeguati ad una società a cultura specista e antropocentrica; per ultimo, perché in tempi recenti gli è stato assegnato l’immeritato pregio di strumento cognitivo, utile a sviluppare la mente animale. L’antispecismo può e deve porsi la questione dell’addestramento animale, non può nicchiare su esso o viaggiare a doppio binario del tipo: sono vegano e vesto cruelty-free per motivi antispecisti, poi oggi pomeriggio vado a fare una gara di obedience gentile con il mio cane o di dressage naturale con il mio cavallo. Non hanno neanche senso tutte quelle bizzarre giustificazioni relate ai discorsi sulla domesticazione, che sembrano far derivare gli animali domestici da costole umane e quindi diversi in termini di animalità, del tipo: sono contrario agli spettacoli in circhi e delfinari, sempre per motivi antispecisti, per poi non esprimere un solo dissenso verso attività circensi che cani, cavalli, gatti, pappagalli, conigli, devono vivere ogni giorno, loro malgrado, tra le mura di casa, come scotto da pagare ai “vantaggi” di vivere in stretta coesistenza con l’umano. In questo senso, oggigiorno, abbiamo molti altri strumenti di comprensione e conoscenza dell’animalità, che danno risposta anche molte questioni etiche e dove anzi l’etica animale può dare un forte contributo, anche applicativo, e che possono benissimo rientrare all’interno di un pensiero antispecista, mettendo con forza e trasparenza in discussione l’addestramento animale, per un processo di liberazione anche della mente animale e non solo dei corpi degli animali.
Francesco De Giorgio
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